Il datore di lavoro, azienda o privato, può controllare i propri dipendenti, collaboratori o soci?
A questa domanda rispondiamo qui di seguito:
Come può, un datore di lavoro privato o società, controllare i propri dipendenti senza andare in violazione della legge e nello specifico dello statuto dei lavoratori?
I cambiamenti che sono stati introdotti con il Job Act hanno evidenziato ancor di più i problemi dei controlli tramite Software Spia su cellulari, email e tablet.
La giurisprudenza della Cassazione ha inoltre sdoganato una serie di investigazioni che tempo fa potevano apparire in contrasto con la legge sulla Privacy e non pertinenti.
Quindi, finiti i tempi degli anni ’70 dove il lavoratore era considerato un “intoccabile”!
L’ottica in cui si deve oggi ragionare è quella di una complicità tra dipendente e datore di lavoro, la fedeltà e il rispetto reciproco sono infatti le chiavi per un successo condiviso.
Nel momento in cui tale fiducia viene meno lo svantaggio è per entrambi.
Che succede quindi quando viene meno tale requisito “essenziale” per la continuazione del rapporto di lavoro?
La risposta la fornisce, a volte in modo nebuloso, la legge che però da delle direttive e dei perimetri chiari sul come il datore di lavoro possa controllare i propri dipendenti e di quali strumenti viene dotato per far emergere eventuali condotte scorrette e lesive del patrimonio aziendale. Tipici casi sono l’assenteismo, la finta malattia, l’uso illecito e l’abuso di permessi ex legge 104, concorrenza sleale etc. tutte condotte che, se provate, giustificano il licenziamento del dipendente per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
Nello specifico, il datore di lavoro può incaricare un’agenzia investigativa per acquisire lecitamente prove valide da far valere in giudizio.
Rosati investigazioni, con il proprio Staff ed un Gruppo investigativo che da decenni opera nel settore è in grado di mettere in evidenza una finta malattia, un abuso di permesso legge 104, contestare una certificazione medica garantendo tranquillità per il licenziamento di un dipendente infedele che lede il patrimonio e la serenità aziendale.
Si veda “Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 19089 del 01 agosto 2017”
Inoltre è legittimo il licenziamento del dipendente sorpreso e “ripreso” a rubare dalle telecamere installate da un’agenzia investigativa.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 10636 del 02 maggio 2017
Infatti le immagini registrate nel luogo di lavoro da un agenzia investigativa sono finalizzate a tutelare il patrimonio aziendale che si presume leso. la Suprema Corte, infatti, ritiene derogatorio il campo di operatività dell’art. 4 statuto dei lavoratori, trattandosi di impianti di videoripresa occulta installati per un controllo difensivo, posto in essere con modalità non particolarmente invasive e rispettose delle garanzie costituzionali di libertà, dignità dei dipendenti, diretta l’accertamento di condotte illecite diverse dal mero inadempimento dell’attività lavorativa vera e propria.
In che modo e quando il datore di lavoro può controllare i dipendenti con investigatori privati e falsi clienti
Lo Statuto dei lavoratori vieta all’azienda di controllare i dipendenti durante lo svolgimento delle loro mansioni: è infatti fuorilegge una verifica sulla qualità e tempestività della prestazione lavorativa. Tuttavia, a detta della Cassazione, è possibile spiare e pedinare i lavoratori attraverso investigatori privati e falsi clienti. Questo consente, in un certo senso, di superare il limite imposto dalla legge e verificare se il dipendente sta facendo il proprio dovere o meno. Il controllo occulto potrebbe consistere anche nella creazione di un falso profilo Facebook al fine di verificare se lo stesso sta chattando o lavorando. Ma procediamo con ordine e vediamo in che modo il datore di lavoro può controllare i dipendenti.
3 Il falso contatto su Facebook
Investigatori privati
Nessun dubbio esiste più sul fatto che l’azienda possa spiare il dipendente con l’investigatore privato. Quest’ultimo può pedinare il lavoratore al di fuori dell’azienda (fino all’uscio di casa), per smascherare eventuali bugie riferite al datore di lavoro: falsi certificati medici, permessi per assistenza a familiari invalidi (Legge 104) utilizzati invece per fini personali, attività di concorrenza, svolgimento parallelo di mansioni per altri datori, ecc.
Il controllo può avvenire anche per un prolungato lasso di tempo [1] e non deve necessariamente limitarsi a sporadici episodi.
Inoltre, per poter pedinare il dipendente sospettato di infedeltà, non c’è bisogno che il lavoratore sia già stato sorpreso nell’atto di svolgere un precedente illecito dello stesso tipo, ma possono essere eseguiti anche in via preventiva o sulla base di semplici sospetti.
La prova sarà costituita dalle stesse dichiarazioni testimoniali dell’investigatore. Il report del detective non ha valore documentale; lo possono avere le fotografie, salvo che vengano adeguatamente contestate dal dipendente.
Affinché l’utilizzo dell’investigatore sia legittimo è necessario che:
- il controllo sia svolto mediante modalità non eccessivamente invasive, rispettose della libertà e dignità dei dipendenti e, comunque, improntate al rispetto dei principi di correttezza e buona fede;
- la finalità del controllo non sia quella di verificare la qualità e la prestazione lavorativa del lavoratore, ma impedire che questi compia illeciti; ciò in quanto le condotte penalmente rilevanti, o comunque illecite, poste in essere dal dipendente esulano dall’attività lavorativa in senso stretto.
Il falso cliente
Il datore di lavoro può sottoporre a controlli il dipendente anche valendosi di un falso cliente. Si pensi a una persona che finga di essere interessata all’acquisto di un prodotto al solo scopo di controllare se il dipendente emette lo scontrino, se indirizza la clientela verso altri esercizi commerciali, se discredita i prodotti in vendita, ecc. In questo caso l’attività di controllo del finto cliente si può spingere anche all’interno del posto di lavoro.
Simulazione della malattia e licenziamento: per la Cassazione il datore di lavoro può incaricare un’agenzia investigativa per accertarne la sussistenza e smentire la patologia
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 17113 del 16 agosto 2016
La sentenza 17113/2016 depositata il 16 agosto ha chiarito che i datori di lavoro possono contestare i certificati sanitari prodotti dai lavoratori anche basandosi su elementi di fatto dai quali emerge che la patologia è inesistente. Nel caso di specie, i giudici hanno esaminato il ricorso di un uomo, che nel 2012 è stato licenziato da un’azienda gelese in ragione di una “simulazione fraudolenta del suo stato di malattia” testimoniata dal compimento, da parte del lavoratore stesso, di numerose azioni e movimenti incompatibili con la dichiarata lombalgia. La Suprema Corte ha ribadito che il datore di lavoro può legittimamente verificare le condotte dei propri dipendenti ricorrendo ad agenzie investigative, estranee allo svolgimento dell’attività lavorativa, se c’è il sospetto che tali condotte possano influenzare in maniera negativa l’adempimento della prestazione dedotta in contratto. Pertanto, la Corte ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa.
Legittimità del controllo dei lavoratori tramite agenzie investigative: limiti dell’attività
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 9749 del 12 maggio 2016
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha affermato che il controllo, demandato dal datore di lavoro ad un’agenzia investigativa, finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 legge 5 febbraio 1992, n. 104 (contegno suscettibile di rilevanza anche penale) non riguarda l’adempimento della prestazione lavorativa, essendo effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa, sicché esso non può ritenersi precluso ai sensi degli artt. 2 (tutela del patrimonio aziendale) e 3 (vigilanza dell’attività lavorativa) dello Statuto dei lavoratori. Infatti, la Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore che, nelle ore in cui aveva fruito di permessi ex legge n. 104 del 1992, concessi per l’assistenza alla suocera disabile, si era invece più volte recato ad effettuare lavori in alcuni terreni di proprietà. Questo comportamento, essendosi verificato in fase di sospensione dell’obbligazione della prestazione lavorativa, poteva essere oggetto di controllo da parte di un’agenzia investigativa.
Legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore che abusa dei permessi ex L. 104/92: la Cassazione chiarisce quando l’investigazione privata viola lo Statuto dei Lavoratori
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 9217 del 6 maggio 2016
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9217/2016, ha definito la legittimità del licenziamento per giusta causa, intimato al lavoratore che abusato de i permessi previsti dalla Legge 104/1992. Nel caso in esame, il datore di lavoro aveva svolto accertam enti per mezzo di un’agenzia investigativa rilevando che, seppure avesse richies to alcuni permessi ex Legge 104, il lavoratore si recava presso l’abitazione dell’assistita (cognata non convivente) affetta da grave disabilità per un numero di ore inferiore a quello previsto. Inizialm ente, il Tribunale di primo grado aveva dichiarato la nullità del licenziamento, poi la Corte d’Appell o aveva ribaltato la sentenza, così il lavoratore è ricorso in Cassazione. Secondo il parere dei giudici supremi, il ricorso all’investigatore privato non costituisce violazione delle norme contenute nello Statuto dei Lavoratori poiché: “Le disposizioni dell’art. 5 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle in fermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle ver ifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza”.
Licenziamento per giusta causa del lavoratore in malattia che tiene una condotta di natura frodatoria: le prove raccolte da un’agenzia investigativa sono ammissibili
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 8709 del 3 maggio 2016
La sentenza n. 8709 del 3 maggio 2016 riguarda un c aso di licenziamento per giusta causa comminato dal datore di lavoro, ad un dipendente ch e svolgeva una condotta di natura frodatoria in costanza di malattia grazie alle prove raccolte da un’agenzia investigativa. Nel caso di specie la Cor te di Cassazione ribadisce che nel nostro ordinamento è ammissibile la testimonianza e la relazione dell’agente investigativo che verta non sulla malat tia, ma sull’attività svolta (alla luce del sole) d al lavoratore in malattia. In questo senso, Cass. Sez. L. sentenza n. 25162/2014 che aveva ritenuto legittimi gli accertamenti demandati, dal datore di lavoro, a un’agenzia investigativa, e aventi a oggetto comportamenti extra-lavorativi, che assumev ano rilievo sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Legittimità delle videoregistrazioni nel luogo di lavoro in quanto non rientranti nella nozione di “domicilio lavorativo”
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 11419 del 17 marzo 2016
La Suprema Corte con sentenza 11419/2016 ha affermato la legittimità delle videoregistrazioni effettuate nel locale cassa di una autorimessa, di utilizzo promiscuo a tutti i dipendenti con mansioni di cassa, in quanto non rientranti nella nozione di “domicilio lavorativo”. Sul punto la Corte precisa che non può considerarsi domicilio lavorativo qualsiasi luogo in cui il soggetto svolge la propria attività di lavoro, essendo per contro necessario che nel medesimo egli possa godere di quella riservatezza che garantisce l’esplicazione anche di atti della vita privata (ex art. 14 Cost.). Viene inoltre confermato l’oramai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le videoregistrazioni di comportamenti non aventi contenuto comunicativo effettuate in luoghi pubblici, ovvero aperti o esposti al pubblico, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche (ex art. 189 c.p.p.). Nel caso di specie, la Cassazione ha escluso la natura di comportamenti comunicativi nelle immagini che riprendevano due soggetti, uno dei quali passava all’altro gli scontrini di pagamento dell’autorimessa per farli alterare da quest’ultimo ed ottenerne un indebito profitto ai danni della società datrice di lavoro.
Se avete dubbi sulla fedeltà di dipendenti e collaboratori allora è arrivato il momento di contattare ROSATI INVESTIGAZIONI.